Per Maia
Qui potete scrivere un pensiero, un ricordo, una storiella, condividere una canzone, un’immagine, foto, disegno…
Con Maia abbiamo visto Coco, un cartone meraviglioso, con un messaggio potentissimo: se si mantiene viva la memoria, chi amiamo non ci lascerà mai davvero, e nel ricordo c’è festa e gioia, scambio continuo, dialogo ininterrotto.
Maia significa Nutrice, dea della primavera, della rinascita: lei ci dà sostegno ed energia per vivere intensamente e generare insieme nuovi ricordi.
Questa pagina è un diario di luce e tutti possiamo brillare con lei.



La targa di Maia al Mistero 12 del Portico di San Luca inaugurata sabato 12 giugno 2021. Da questo punto si vede tutta Bologna e anche nelle giornate più calde qui soffia la brezza.



L’albero di Maia
Il melograno dedicato a Maia nell’orto della sua scuola elementare,
le Longhena, nel Parco del Pellegrino a Bologna

La magnolia di Maia
L’albero dai grandi fiori bianchi che Maia amava al punto che la mamma scrisse questo racconto per lei piccina, nel giardino della casa in cui ha trascorso con noi la sua prima infanzia, in via Luigi Busi a Bologna.


Bellissima, “Black Hole” di Will Stratton, l’ho sentita ieri ascoltando Linee d’Ombra su Radio 24. Quanti autori e canzoni abbiamo scoperto grazie a Matteo Caccia!
Tu che leggevi le storie così bene e interpretavi tutti i personaggi mutando voce e intonazione, un giorno mettesti in chiaro: “Sì mi piacerebbe un corso di teatro, ma non farò mai l’attrice, perché mi guasterei la sorpresa del film!!!”.
All’asilo nido Green Corner, di fronte a casa, volevi andare da sola, non potevo nemmeno avvicinarmi alla porta, ti potevo solo controllare mentre attraversavi la strada e guardarti da lontano, tanto grande era la tua smania di crescere, di diventare autonoma e indipendente come le tue sorelle più grandi. E in prima media, in capo a una settimana, avevi imparato autobus e strada, volevi andare e tornare da sola, e io ti seguivo in bici, cercando di non dare nell’occhio…
Violette, la protagonista di “Cambiare l’acqua ai fiori”, ritrova ogni anno sua figlia nell’acqua del mare. Violette ti piacerebbe tantissimo. “Cambiare l’acqua ai fiori” è un libro che ameresti almeno quanto “Mia nonna saluta e chiede scusa”. ❤️
Tu Maia che alla prima lezione di coro sorridevi. Questa immagine la porto sempre con me !
Arrivavi mano nella mano alla tua mamma nel mio negozio di scarpe per bimbi in via xxi Aprile. A volte in bicicletta, a volte con il cagnolino, altre di ritorno da scuola con la cartella. Ricordo che la tua felicità nel voler comprare le scarpine nuove si univa alla consapevolezza di ciò che ti serviva realmente! Un fare riflessivo e “adulto” che sposava perfettamente la dolcezza dei tuoi sguardi… la curiosità che ti animava, le domande che mi facevi su qualcosa che ti aveva colpito… ecco ti ricordo così, come quelle bellezze rare da custodire nel mio cassettino delle magie ❣️
Sandra (SanPol)
Maia non ti ho conosciuta ma non importa perché sono sicura che la luce che vedo nel tuo sguardo in queste foto meravigliose che i tuoi genitori hanno scelto per ricordarti continua a esserci nei loro cuori e in tutti quelli che ti amano o che semplicemente ti vedono per la prima volta come me. I bambini sono la luce nel mondo
Maia mi guardava con due occhioni interrogativi di chi vuole scoprire il mondo e vuole capire in che modo avrei contribuito nella sua vita… Forse lei non l’ha mai saputo, ma dicevo almeno 50 volte il suo nome al giorno! Ho pensato a lei come prima cosa la mattina e come ultima la sera prima di dormire… Non ho mai provato nulla del genere prima… Mi ricordo la prima volta che ci siamo visti: era un giorno di festa e siamo andati a mangiare fuori: era così fragile ed al tempo stesso così forte!
Nonostante le difficoltà, piccola Maia, alla domanda “Come stai?” rispondevi con un deciso “Bene!”. Questa forza non la dimenticherò mai.
… Ricordo di averla osservata per ore appena vi ho conosciute, mi catturava, ero rapita da lei. Mi chiedevo come così piccina, potesse avere un anima così antica e nobile da portarti a studiarla un po’ per prendere esempio…. “” “Coi miei 42 anni” “” . Penso a lei ogni giorno♥️⭐⭐⭐⭐⭐⭐⭐⭐⭐⭐
Domani Matteo Caccia leggerà un mio racconto per la festa della mamma… Tutte cose che conosci! Chissà quale sarà la colonna sonora…
Uscito “Paesaggio dopo la battaglia” di Vasco Brondi. Al teatro Duse in seconda fila, noi due al suo concerto, il nostro ultimo concerto insieme ❤️❤️
Ecco ho trovato la foto, te l’ho scattata un minuto prima dell’inizio del concerto.
Io Maia, la porto nel cuore dove c’è posto anche per Micol e Mia.
Ma il mio più caro e dolcissimo abbraccio è per te Megghi, vorrei poterti aiutare a non soffrire così tanto. Ti voglio bene, tanto tanto.
Cinzia
Ecco il racconto!!
“Un incidente senza conseguenze e una gravidanza travagliata”
Era il 2000, una mattina feriale di marzo, ricordo che indossavo i miei amatissimi stivali color mirtillo e per la prima volta un casco integrale nuovo di zecca.
Inforcai il mio 125 e partii a razzo verso il lavoro distante 7-8 km da casa. Arrivavo in ufficio immancabilmente con 5 minuti di ritardo e il mio responsabile brontolava ogni giorno, sempre un po’ meno bonariamente. Anche quel giorno non ero in anticipo! In un quadrivio trafficatissimo mi fermai al semaforo e appena scattò il verde diedi gas per ripartire. Dopo un decimo di secondo -bum!- volai e mi ritrovai a terra. Un grosso scooter aveva incrociato la mia traiettoria. Ricordo che pensai: “che fortuna, mi ritrovo in mezzo all’incrocio e nessuno mi ha investito! E poi: “ancora no, però…”. Balzai in piedi ma qualcuno mi urlò di non alzarmi, che era in arrivo l’ambulanza… Già?!?!?! Verificai che mi trovavo in una posizione sicura per cui non mi mossi. Vidi un’auto della polizia. Scoprii poi che gli agenti avevano assistito all’incidente e potevano testimoniare che il ragazzo dell’altro scooter era passato con il rosso, per un soffio, e aveva intercettato me partita all’istante appena si era acceso il verde… Che scalogna! Ero un po’ dolorante ma prevaleva nettamente il sollievo di essere ancora viva e più o meno illesa. Se fosse dipeso da me non sarei andata nemmeno all’ospedale, preferivo mille volte raggiungere i colleghi! Invece mi ci portarono e sull’ambulanza il barelliere commentò: “Mi dispiace, il tuo motorino è completamente distrutto, pensa che stavo per regalarne uno uguale alla mia ragazza ma non mi sembra molto robusto, mi sa che cambierò modello…”. L’avevo comprato solo pochi mesi prima!
Al pronto soccorso mi lasciarono a lungo in attesa su un lettino. Sapevo che mi avrebbero sottoposta a varie radiografie dal momento che avevo contusioni un po’ dappertutto e qualche escoriazione. Dopo aver constatato che i miei stivali erano da buttare – strisciando sull’asfalto la pelle si era tutta graffiata – iniziai a guardarmi intorno, annoiata. Non avendo a disposizione né libri né giornali (né smartphone, ovvio, nel 2000 non esistevano…), fissai la mia attenzione su un cartello che ammoniva le donne in stato di gravidanza accertata o presunta a non sottoporsi all’esposizione di radiazioni ionizzanti. Oziosamente provai a ricordarmi quanto tempo prima avessi avuto il ciclo e fui colta dal dubbio che fossero trascorse varie settimane. Mi obbligai a riflettere con più impegno: solo qualche mese prima io e mio marito avevamo sospeso di tacito accordo ogni precauzione per non escludere l’eventualità di una gravidanza senza però impegnarci a cercarla… Quando l’infermiera mi chiamò per i raggi buttai là con nonchalance: “Sono quasi matematicamente sicura di non essere incinta ma credo di avere un ritardo di boh 2-3-4 settimane, non ricordo. Forse è un falso allarme ma ho letto che sono obbligata a comunicare…”.
L’infermiera si affrettò a informare i colleghi e furono sospesi tutti gli esami.
A quel punto che cosa mi restava da fare lì? non potevo andarmene a casa?
E finalmente, proprio al momento giusto per portarmi via, arrivò di corsa mio marito, che era stato avvertito dalla polizia, e appariva un po’ agitato in quanto nessuno lo aveva informato con esattezza delle mie condizioni a seguito dell’incidente. Quando l’infermiera lo accolse con un trillante CONGRATULAZIONI!!!, lui all’inizio assunse un’espressione più contrariata che interrogativa, poi quando lei chiarì “Sua moglie è incintaaaa!” allora sbiancò al punto che pensai stesse per perdere i sensi.
Avrei voluto dire qualcosa del tipo “be’ è solo un sospetto, ma è assolutamente improbabile, non darle retta, che esagerazione…” ma mi ammutolii anch’io.
Intanto lui aveva imbastito un sorrisetto di circostanza e cercava il mio sguardo…
Ecco, un conto è esprimere il desiderio di avere un bambino, sognare di essere in tre, di vederlo crescere tra noi due, un conto è rendersi conto che fra poco pochissimo tempo, nemmeno un anno, lo avrai in carne ed ossa in casa, con tutte le sue esigenze… Avevamo 30 anni, solo tre mesi prima, al colloquio di assunzione per un posto a tempo indeterminato al CED di IBM, alla domanda “Lei si è appena sposata, pensa di pianificare una gravidanza a breve?” avevo risposto “No di certo!” e dal momento che il tipo incalzava: “Perché mai?” avevo precisato: “Mio marito è troppo immaturo!”.
Ma soprattutto la mia soglia del dolore è inesistente ed io ero in preda al terrore!!! La gravidanza passi, ma il parto nooooooooooooo!
Mi sentivo soffocare, impazzivo per l’ansia, insistetti quasi per fare l’esame radiologico – col passare del tempo i dolori aumentavano, mi sembrava di essere stata presa a bastonate – rabbrividii al suono del termine teratògeno, mi balenò l’idea del minuscolo presunto esserino dentro di me così piccolo e fiducioso ma condannato a nascere deforme per colpa di una madre sventata, inadeguata fin dall’inizio…
Questa la linea d’ombra.
Per settimane mi rifiutai di fare il test di gravidanza nonostante le ripetute sollecitazioni dei miei suoceri, ansiosi oltre ogni dire di divenire nonni, e i rari discreti sproni di mio marito, certamente inquieto come me.
Quando finalmente mi decisi, l’esito era ormai scontato ed ero anche tormentata da nausee che cessarono come per magia dopo un paio di mesi, strategicamente durante una vacanza gastronomica in Umbria che mi ero intestardita a organizzare nonostante le premesse non promettenti.
La gravidanza di Micol proseguì come era iniziata, un’odissea:
Prima di tutto rischiò di chiamarsi con nomi tipo Mistral, Mafalda, Esmeralda, Marilù, Svetlana, ma fu salvata da unanimi proteste generali finché parecchio tempo dopo la nascita ci risolvemmo a chiamarla Micol solo grazie alle insistenze di un’infermiera esasperata dalla nostra titubanza sul nome. A due anni si sarebbe presentata così “Mi chiamo Micol con la emme e senza e” perché fosse chiaro che il suo nome non era Nicole. Scelta a lungo ponderata quindi ma non proprio azzeccata.
Proseguendo a narrare le traversie:
Un pomeriggio di luglio in campagna, all’ombra di un noce, l’amaca su cui mi cullavo cedette all’improvviso dalla parte della testa e caddi prendendo una gran botta. No comment sull’esclamazione di sollievo di mio suocero: per fortuna che non ha battuto la pancia!!!
Una domenica d’agosto da bollino nero in auto sull’A14 verso Bologna subimmo un tamponamento e fui ricoverata d’urgenza in ginecologia ad Ancona.
Intanto ero preda di una malsana e incontrollabile passione per la benzina, ai distributori, seminando sbigottimento, prendevo la pompa e sniffavo con voluttà …
Ero seguita da una ginecologa sopra le righe che mi assicurava che la gravidanza andava alla grande, potevo spostare mobili, fare sesso in tutte le posizioni, andare in moto…
Finché a due mesi dalla nascita, dopo un giro un po’ troppo lungo sul Transalp, fui confinata a letto e messa sotto farmaci inibitori delle contrazioni perché correvo il rischio di partorire troppo presto.
Sarebbe andato tutto bene se non avesse fatto capolino un ospite sgradito, lo streptococco, che causò la rottura delle acque e la nascita pretermine di 5 settimane della bambina.
Lei era robusta, pesava già 3 chili e 3 etti ma purtroppo, a causa di una polmonite fulminante, nel giro di mezza giornata, fu ricoverata in terapia intensiva neonatale.
Trascorremmo giorni di angoscia, senza che nessuno ci assicurasse che si sarebbe salvata, ma lei era davvero attaccata alla vita, mentre io piangevo sconsolata, lei trangugiava il mio latte e subito cadeva appagata in un sonno profondo.
Dopo circa una settimana le staccarono l’ossigeno perché era in grado di respirare da sola, conclusi tutti gli esami e i controlli, fu finalmente congedata e affidata a noi due…
Si rivelò una neonata fantastica, di una bontà portentosa.
A casa, in sua compagnia, durante il periodo di astensione dal lavoro, rischiavo persino di annoiarmi, potevo dedicarmi a tutti i miei hobby.
Micol si svegliava solo per mangiare, 4 volte al giorno, poppava di gusto con un’avidità sorprendente, le poche ore in cui era sveglia sorrideva tranquilla e soddisfatta, si addormentava alle 21 e si risvegliava alle 9 del mattino… Un angelo dolcissimo. Come se non ci volesse sconvolgere troppo la vita, permettendoci di abituarci alla nuova presenza in famiglia in maniera graduale e indolore.
Tanto che dopo di lei abbiamo avuto altre due bambine, un po’ meno placide, ma buone anche loro.
Ecco poi sono cresciute ma questa è un’altra storia.
Questa
Due anni fa, al mare: Maia, il nonno e io. Maia sente la mancanza della mamma e delle sorelline. Non lo dice, non si lamenta ma di notte si sveglia e viene a chiedere compagnia. Di giorno si distrae, ha le sue amichette. Ma la sera si immalinconisce. Allora per toglierle un po’ di pena le proponiamo di dormire insieme. Ci sono quattro possibilità: nella sua camera con il nonno in un altro letto, nella sua camera con me (Anna) nell’altro letto, nel letto grande con il nonno, nel letto grande con Anna. Può scegliere. Lei ci guarda e senza nessuna esitazione dice “nel letto grande con Anna”. Per me un regalo, inatteso e quindi ancora più speciale.
Mentre sentivo la storia di Micol alla radio mi sembrava di sentire la tua bella risata sonora. Quanto ridevi al cinema e a teatro, ricordo un pomeriggio alle Celebrazioni c’era Teresa Mannino con “Sento la terra girare”, tu seguivi ogni battuta e dopo ridevi a crepapelle e si voltavano tutti… Nessuno era capace di godersi uno spettacolo comico più di te. Ecco, vorrei scrivere anche per te una storia divertente. Intanto potrei cominciare con Mia, il materiale non manca…
Nel giardino chiamato Bell Gardia sulla Montagna della Balena in Giappone c’è una cabina telefonica collegata col nulla. Là vanno migliaia di persone per prendere in mano quella cornetta e parlare con chi hanno perduto. Si chiama telefono del vento.
Questa storia è narrata in Quel che affidiamo al vento di Laura Imai Messina che ho letto l’anno scorso. La protagonista ha perso la sua mamma e la sua bambina nella catastrofe dello tsunami del 2011, quello che ha provocato il disastro di Fukushima.
Mi è tornata in mente Ponyo, la tenera bimbetta venuta dal mare del cartone di Miyazaki che tu hai amato così tanto da volerlo rivedere decine e decine di volte, richiesta davvero insolita per te sempre curiosa di cose nuove.
E ogni giorno, mentre ti guardavo, mi chiedevo quale sarebbe stato il nostro telefono senza fili e il tempo stringeva. Eccolo qui.
Ho trovato Miele in camera tua, ai piedi del tuo letto, proprio dove stava il primo anno, quando abbiamo traslocato e tu, abituata a dormire con le tue sorelle, non volevi dormire da sola nella tua cameretta e lui era ben lieto di farti compagnia… Erano anni che non ci andava più. Invece era lì, da solo, col muso tra le zampe, in attesa.
Quando andammo a Milano alla mostra dedicata al tuo mito assoluto, Leonardo da Vinci, ci recammo poi al Castello Sforzesco, lo girammo in lungo e in largo e alla fine eravamo esausti. Papà si mise a sedere fuori e dichiarò di averne abbastanza, tu eri tentata di restare con lui ma senza che io insistessi mi seguisti e vedemmo insieme la Pietà Rondanini, l’opera incompiuta di Michelangelo, alla quale lavorò fino agli ultimi giorni.
Spesso mi capitava di vedere dei video buffi o delle foto bellissime quando non eri con me e mi ripromettevo di mostrarteli appena ti fossi svegliata o fossi tornata a casa, e spesso me ne dimenticavo e poi pensavo: va be’, sarà per la prossima volta, chissà quanti altri ne salteranno fuori nei prossimi giorni!!!
Ho trovato delle foto incredibili dei nostri amici scoiattoli scattate da Girt Vegg, te ne allego qui una.
E qui ci sono anche dei video degli animali che stanno al Campus dei Campioni a San Lazzaro: lupi, volpi, cinghiali, lepri, e naturalmente scoiattoli!
https://youtu.be/fuvEiLaBSqw – lupi
https://youtu.be/9-E9lgHjoFk – volpe
https://youtu.be/xj5cNw8KbhE – scoiattolo
https://youtu.be/KGhalDTlHNw – scoiattoli
https://youtu.be/zpjIpw-RbF8
https://youtu.be/knJGpgWcUFs – lepre
https://youtu.be/C9lwZ1-10Tk – lepre
https://youtu.be/8TN_U6bpq2U – cinghiale
Oggi siamo stati a Villa Benni e mi sono tornati in mente i momenti meravigliosi passati in quel luogo con te. Come scrive Silvia Avallone: “Cosa resta di noi nei luoghi che amiamo, cosa sopravvive di tutti i baci, le confessioni, la gioia, perché da qualche parte la nostra vita deve pur rimanere, no? Sarebbe uno spreco tale, se morisse insieme a noi”. Come avresti amato “Un’amicizia”, Maia, forse non ti saresti immedesimata né in Elisa né in Beatrice, ma avresti divorato questo libro!
Ecco la nostra foto con San Luca sullo sfondo, nel settembre 2019.
“Sdrammatizzare è l’unico modo di prendere sul serio la vita” scrive D’Avenia nell’Appello. Ti ricordi quante barzellette mi raccontavi leggendole dal libro di Focus Junior “Matte risate”? Centinaia di barzellette, non smettevi mai, ridevi e leggevi e ci tenevi che partecipassi al tuo divertimento, alla fine bisognava faticare per convincerti che era giunto il momento di chiudere il libro! Quanto lo avete usato, molte pagine sono staccate… Io non ho mai letto quel libro ma lo apro adesso, leggo e sento la tua voce e la tua risata, ce ne sono tantissime di spassose come questa per esempio: “Qual è la malattia tipica dei professori di lettere? La congiuntivite!”.
La Cura di Battiato, l’avevamo ascoltata insieme. Ricordo la prima volta che l’ascoltai, in via Piella: immensa. Auguro a Mia e Micol di incontrare una persona che dedichi loro questa canzone…
Spesso, quando scoprivi un nuovo cantante, tu, che non ti davi pace per il fatto che Rino Gaetano non c’era più, chiedevi rassicurazioni: “Ma è ancora vivo?”. Per alcuni dovevo risponderti di no: Prince, Bowie, Lou Reed, Graziani, Daolio, Strummer, Marley, Jeff Buckley… Vedevo che ti dispiaceva.
Tu che mi hai reso felice partecipando al Coro Euridice con la tua dolce professoressa Margherita Berzioli. Ti immagino cantare a più non posso. Ci sono anche queste bellissime canzoni e di lui non mi chiederai:
La Cura > https://www.youtube.com/watch?v=cLJp-YJeuzc
Prospettiva Nevski > https://www.youtube.com/watch?v=zWViOtrFcrs
E ti vengo a cercare > https://www.youtube.com/watch?v=eeo_iXWKB4I
E più ti amo > https://www.youtube.com/watch?v=hmNcMqigR5k
La Cura di Battiato, l’avevamo ascoltata insieme. Ricordo la prima volta che l’ascoltai, in via Piella: immensa.
Spesso, quando scoprivi un nuovo cantante, tu, che non ti davi pace per il fatto che Rino Gaetano non c’era più, mi chiedevi: “Ma è ancora vivo?”. Per alcuni dovevo risponderti di no: Prince, Bowie, Lou Reed, Graziani, Daolio, Strummer, Marley, Buckley, Bennington… e tu ci restavi un po’ male.
Adesso ti immagino cantare a squarciagola, tu che mi hai reso felice partecipando al Coro Euridice con la tua dolce professoressa di musica Margherita Berzioli.
Ecco queste canzoni di Battiato e non mi chiedere anche di lui:
You are my Sister – con Antony Hegarty
E ti vengo a cercare
E più ti amo
Prospettiva Nevski
“Questo… significava essere vivi: scegliere la vita con i suoi limiti e amare a tal punto da rendere infinite le cose mortali” (da L’appello di D’Avenia).
Tu non eri ancora nata, ero con Micol e Mia vicino alla chiesa di San Paolo del Ravone e ci mettemmo a chiacchierare con una signora molto anziana che ci raccontò che suo marito era volato in cielo, allora Mia che aveva circa 4 anni le chiese candidamente: e tu quando vai da lui? Io e Micol la guardammo imbarazzate e io provai a cambiare discorso… se adesso mi chiedessero quando verrò da te sarebbe la domanda più naturale, molto più del solito come stai.
c era una canzone di angelo branduardi:”non ricordo chi…mi racconto’, la storia molti anni fa…per tutto il giorno giocavano felici su per colline e giu per i prati”.
Ma c’ è anche la storia dell’allenatore che uscendo dalla palestra, finita la partita se ne esce salutando tutti con Maia per mano…..la mia mano sinistra, sul sentiero che porta all uscita…..si fermo’ a guardare la luna..assieme a Maia….splendente nel cielo gia scuro…e una vocina carina..ma decisa gli chiede.”MA NOI ESSERI UMANI…POSSIAMO ANDARCI SULLA LUNA…LASSU’?”l’allenatore non si ricorda cosa gli rispose..ma gli strinse la mano e da quel giorno le volle sempre bene.
“la sera si stringevano vicini..per affrontare il buio della notte…chissa’ chi me lo racconto’ ”
https://www.youtube.com/watch?v=VodYqZTDxsc
robby porrelli
Nicoletta e Maurizio, di Maia ricordano soprattutto le risate squillanti che si faceva quando giocavamo insieme ad UNO , era uno spettacolo ascoltarla.
Quando la incontrammo l’ultima volta, pochi giorni prima che ci lasciasse, mangiammo le crescentine insieme, poi cantammo con lei e Mia le canzoni che le piacevano di più ed allora sentimmo ancora la sua bellissima risata.
Il primo giorno della materna, Viola, una tua amichetta, tornò a casa emozionatissima e disse: “Ho conosciuto l’ape Maia, l’ape Maia in persona, sta con me a scuola!”. Grazie al tuo nome, senza saperlo, eri una celebrità 😉
Da settimane il nostro orto è popolato da centinaia di api mellifere, stanno soprattutto in mezzo alle fragole e un esperto ha detto che sicuramente sono assetate e provengono da un alveare in cui non trovano acqua, da noi invece ce n’è tanta grazie all’impianto di irrigazione. Installeremo un alveare e ci prenderemo cura di tante piccole api Maia, laboriose e amanti dei fiori come eri tu, che non amavi indossare la maglietta dell’ape Maia forse per paura di essere presa in giro, ma che davvero le assomigliavi tanto, solare, allegra e buona come queste api che non si sognano di pungere anche se metti le mani in mezzo a loro per raccogliere i frutti.
Andare al lavoro, dove vedo il grande quadro che ho dipinto nella casa dove hai trascorso i tuoi primi 9 anni e le foto in cui splendi e sorridi, mi fa pensare solo ai momenti belli che abbiamo condiviso qui, mentre scrivevi, disegnavi, leggevi o chiacchieravi con un collega – ricordi quanto era gentile Massimo che portava il gelato per tutti? – o prendevamo una cioccolata calda o andavamo insieme a pranzo fuori, al tempo in cui lavoravo con la mente sgombra, piena di serenità, immaginandoti a scuola o a casa, o in gita o al mare o da amici, tranquilla e in salute.
Studiando inglese con Cake oggi mi sono imbattuta in alcuni video di cartoni Disney in cui i protagonisti cantano canzoni d’amore e mi sono ricordata di quanto amavi inventare canzoni fin da piccina e delle volte in cui ti vedevo cantare, seria ed ispirata. A volte sfuggivi gli spettatori “umani” perché forse non volevi che ascoltassimo i tuoi testi forse un po’ troppo personali e dalla finestra ti osservavo sorridendo: tu in giardino cantavi e ballavi, totalmente rapita, attorniata da Brina e Miele scodinzolanti e attenti, due fan d’eccezione!
Quanto hai amato Bianca come il latte, rossa come il sangue e Cose che nessuno sa di D’Avenia. Ma sicuramente il tuo preferito sarebbe stato Ciò che inferno non è.
Adesso sto leggendo L’Appello, che è un libro immenso, sarebbe bello che lo leggessero tutti gli insegnanti. Ci sono dei passi che non si possono dimenticare: Questo significa essere vivi: scegliere la vita con i suoi limiti e amare a tal punto da rendere infinite le cose mortali.
Percorrendo Bologna, senza rendermene conto, divido la città in: posti dove sono stata con te – li individuo subito e i ricordi mi sommergono -, posti dove non siamo mai state e dove non so se ci andrò senza di te, posti dove ci eravamo ripromesse di andare e non abbiamo fatto in tempo. Volevo portarti al mercatino dei fiori di Piazza san Francesco, lì avevo comprato le piantine grasse per le tue bomboniere… Come altre, una meta facile, a portata di mano, che pregustavo per il nostro futuro. Ma il tuo desiderio di ritornare a Venezia, quello l’abbiamo esaudito, prima dell’inizio della prima media.
Oggi ultimo giorno di scuola in presenza per Mia. Non ci saranno più fogli appesi al frigorifero con gli orari delle lezioni. Ricordo la gioia di quando appendemmo il foglio con il tuo orario di prima media stampato insieme a quello di Mia che frequentava il quarto anno di Liceo e la tua contentezza per il fatto di potere finalmente pranzare tutti i giorni a casa, abbandonata per sempre la mensa scolastica!
Un sabato mattina ti portai a casa una fatina bellissima che avevo conosciuto a Villa Spada e mi aveva insegnato la strada per il Pellegrino. Con lei c’era un cucciolo di lagotto bellissimo e scatenato di nome Baldo. Poi conobbi suo marito e scoprii che insegnava nella scuola delle tue sorelle. Con l’arrivo di Brina, lagottina un po’ anziana ma snella e irresistibile, cominciarono i problemi: quando ci incrociavamo al parco, Baldo perdeva letteralmente la testa, scappava e la seguiva dovunque, cercando in tutti i modi di ottenere il suo amore. Lotte furibonde, ma lei per fortuna era una signorina assai seria, non incline alla pedofilia! Circa un anno dopo il padrone di Baldo divenne il prof di matematica, e poi anche di fisica, di Mia. Appassionato dell’insegnamento, bravissimo con i ragazzi, capace di apprezzarli e di amarli. L’ultimo giorno di scuola portò persino due bottiglie di spumante per brindare con loro ed espresse il suo rammarico per non aver potuto, a causa del covid, condividere con loro un pezzo di vita più importante, lui che anche durante il lockdown fece sempre lezione da scuola e non comodamente da casa, e si adoperò per poter insegnare in presenza il più possibile fidandosi comunque sempre dei suoi ragazzi… E poi donò a ciascuno di loro un cd, capolavoro inatteso: musica e parole sue, voce, piano, chitarra acustica ed elettrica e non solo… Che meraviglia avere un professore artista innamorato del suo lavoro e della musica! Noi grandi sognatrici che ci scambiavamo racconti di sogni e sognavamo viaggi, potremmo ascoltarlo insieme, Maia, questi titoli parlano anche di noi: la title track Città sognate, Nei miei sogni, Ombra, Vieni a cercarmi, Non capisco perché, Tutto vero solo un sogno, Cosa vedi tu da lì?, Eccomi sono qua. Grazie, Beppe, da parte di tutti noi. E grazie alla soave Sophie che certo lo ha ispirato e che anche lei ama il tuo nome.
Vedemmo insieme Quel fantastico peggior anno della mia vita. In verità avevo comprato il dvd per vederlo con Mia che era nel ciclone dell’adolescenza ma un sabato sera decidemmo di guardarlo noi due. Lei era fuori, chissà a che ora sarebbe tornata. Si tratta di una storia molto coinvolgente, con un epilogo simile a Bianca come il latte, rossa come il sangue: la ragazzina perde contro la leucemia. Io non riuscivo a non piangere e ti spiavo preoccupata, temendo l’effetto su di te di un finale così tragico. Tu mi chiedesti solo con voce rotta, sbalordita ma anche quasi indignata: “Ma muore????????”. Io feci cenno di sì, poi affermai con convinzione: “Va be’ è solo un film”. Tu buttasti uno sguardo a terra, verso tutti i fazzoletti che avevo usato, poi guardasti la scatola colorata che li conteneva e dicesti: “Evviva, è quasi vuota, domani me la dai per giocare?”.
Io brava a lasciar andare le figlie lontano, persino in Nepal a 16 anni – perché l’ebbrezza della libertà, la consapevolezza di farcela da soli sono per un ragazzo la cosa più bella, che regala a un genitore la soddisfazione e il sollievo più grande – non ti lascerò mai andare, piccina mia. Tu no.
Quando ero piccola, ero spesso malata, inoltre mio padre, molto apprensivo, mi teneva a casa da scuola anche solo per una febbricola, quindi restavo da sola per ore dall’età di 7 anni. Non mi annoiavo, leggevo tantissimi libri, scrivevo, disegnavo, leggevo e mi inventavo tanti personaggi con cui dialogavo modificando opportunamente la voce ogni volta che interpretavo un personaggio diverso. Mio padre rincasando apriva la porta, mi sentiva parlare, restava un poco in ascolto e scuotendo la testa diceva tra sé: “A l’è nescia!” che in dialetto ligure significa “è andata, non ci sta con la testa!”. Accidenti, che ingrato, invece di apprezzare il fatto che riuscivo a svagarmi anche da sola senza pretendere una baby sitter!!! Anche Maia non si annoiava mai, era sempre in attività, si inventava giochi sempre diversi e aveva una fantasia incredibile, le bastavano dei sassolini dei bastoncini un osso una corteccia per inventarsi delle storie fantastiche, addirittura aveva creato un alfabeto segreto! I sassi mappa, i sassi sole, i sassi luna,.. Quanti racconti scriveva, quante canzoni, profumi, pozioni, ed era sempre intenta a inventare qualcosa, progettando e disegnando minuziosamente. Era così brava a leggere un testo, variando la voce a seconda del personaggio, attenta a ogni minima sfumatura, emozionando chi la ascoltava… Ringrazio la nostra immaginazione e la nostra follia, Maia, in ogni istante commentiamo riflettiamo scherziamo, la tua assenza definitiva si è tramutata in presenza assidua, e non posso sentirmi sola mai con la tua risata squillante e le tue osservazioni argute. La vita è sogno, e noi siamo bravissime in questo.
Piccina, quando andammo a Mirabilandia con Mia e Taro e vivesti l’avventura del risciò e del fosso con Mia, e mentisti sull’età e potesti salire con Mia sulle attrazioni più mozzafiato, trovammo nell’agriturismo un cartello dipinto su cui leggemmo una ricetta preziosissima. Tu non avevi bisogno di segnartela perché eri bravissima a goderti la vita, gli affetti e dare il giusto peso alle cose, ma io la fotografai e la riportai su tela.
Questo è il tuo posto, il portico magnifico che conduce alla basilica: ogni volta che tornavamo da un viaggio, fin da piccola riconoscevi San Luca e sapevi che casa era vicina. Qui è bellissimo, da questo punto si vede l’intera città e il vento soffia più fresco e impetuoso. Vola Maia vola, tu che adori gli aerei e in bici e nella corsa mi seminavi, e non vedevi l’ora di fare, anche tu finalmente, un po’ la ribelle, goditi Bologna dall’alto e se qualche volta ti senti tirare giù sono io che mentre cammino stringo la mano, catturo la tua, ma per poco stai tranquilla, tutto l’amore che ci hai dato ci può bastare per il resto dei giorni. Tu il sogno più bello e pieno di luce. I nostri nomi qui uniti per sempre. Ad aeternum. (2)
Tu chiedevi di portare anche il mio cognome ed io ti sconsigliavo: per carità è lunghissimo, Maia Di Menna Lanteri Cravet, scriverlo, presentarsi… una vera scocciatura!! Adesso ti abbiamo accontentata, sei libera di essere chiamata come desideri, e soprattutto, da grande fan di Leonardo Da Vinci, anche tu curiosa del segreto del volo, sei libera di volare sulla tua amatissima Bologna. (1)
La tua orchidea ha tre fiori, uno per te, uno per Mia, uno per Micol, è la terza volta che la vediamo fiorire. Ci sono tantissimi fiori per te, ogni giorno, così ti puoi sbizzarrire con le tue combinazioni di essenze e colori.
Oggi Mia ha fatto la maturità. Ha studiato tantissimo, fino alle 2 ieri sera e stamattina si è messa la sveglia alle 6. Io e Angelica siamo andate all’uscita. C’erano Filo Enrico Jacopo. Lei era così fragile, sottile e muscolosa, gli occhi grandi e la frangia corta corta. Gli occhi le brillavano e il suo sorriso era bellissimo. Un po’ erano lucidi. A pranzo era pensierosa, forse pensava al test di medicina. Sicuramente è felicissima di avere finito il liceo. Concentrata sul presente e sul futuro, per nulla nostalgica. Tutt’e tre alla fine delle Longhena, mentre i compagni piangevano, eravate soddisfatte e impazienti di cominciare le medie e sentirvi delle ragazzine finalmente. Oggi tu eri lì con noi, come sempre. Non farai più nessun esame Maia, sono superflui per te, che sei bravissima, brillante e volonterosa, lo sappiamo già, e la fatica non ti ha mai spaventata. Il nome di Mia è contenuto nel tuo, i vostri cuori battono all’unisono, lei darà fondo a tutte le sue energie e sempre le infonderai nuovo vigore e mai si risparmierà, lei che si è fatta tatuare il disegno del vostro sguardo sul mondo, i vostri nomi nella stessa iride.
Le gazze nere e bianche che popolavano i parchi di Canterbury ti hanno seguita qui a Bologna e da tempo ormai svolazzano in giardino. Ricordi quanto correvi a perdifiato quell’estate, mentre io e papà camminavamo tu ci precedevi e correvi avanti indietro decine di volte, instancabile e allegra. Era la prima volta che dormivi da sola in camera, eri così orgogliosa di avere una scrivania tua. Ricordo che per convincerti a seguire il corso di inglese per bimbi mentre noi 4 seguivamo ognuno il proprio corso, ti dovetti promettere un regalo e che non ti davi pace della scarsa preparazione delle insegnanti, ti lamentavi dicendo: “pensa mamma, non sanno una parola d’italiano, fortuna che ci sono due bambine che invece qualcosa sanno!”. Infatti erano spagnole… All’aereoporto rischiammo di perdere il volo di ritorno perché ci attardammo per acquistare lo zaino per la prima elementare, viola coi gufetti, e Mia, che coraggiosissima a 10 anni aveva trascorso tutto il periodo ospite da sola presso una famiglia inglese, correndo a perdifiato con gli stivaletti nuovi si ferì i piedi. Quell’estate fu un po’ sfortunata per lei, a Rodi le avevo chiuso un dito nella portiera di un’auto, poverina! Da quel viaggio tu sognasti di avere una camera tutta per te anche se poi quando ti capitava l’occasione di restare da sola a dormire, ti tiravi indietro… Nella nuova casa foste accontentate tutt’e tre, e a fatica ti abituasti a non avere compagnia ma tante tantissime volte abbiamo dormito insieme noi due!
Sei riuscita a indossare varie volte il top di raso blu notte che ho indossato a qualche esame all’università. Ti piaceva tantissimo. Ci scambiavamo i vestiti, maglioni, magliette, scarpe, pantaloni. Ho conservato tanti abiti per voi, tutti pezzi della mia vita, spesso già mescolata alla vostra. Sentivo che tu apprezzavi la loro storia, come amavi portare gli indumenti già portati dalle sorelle. E io ogni giorno sperimento “l’enorme potere che hanno gli oggetti di rilasciare gli odori e le voci che hanno assorbito. Di rendere presenti i ricordi” (Un’amicizia, Silvia Avallone). E più del dolore è importante che ci sei ogni giorno.
Ti ricordi della canzone La fine dei 20 anni? Tu non l’amavi particolarmente ma poi ultimamente Motta un po’ ti piaceva. Sono così belle le nuove canzoni di Semplice, un album “sincero e lacerante”. Il suo verso “Salvami anche quando ti accorgi che non c’è niente da salvare” è nostro, non si può dimenticare. Tu, mia Estate d’autunno. Chissà che il 28 agosto io e Micol non andiamo a Senigallia al suo concerto.
“Solo così si è sempre vivi, qualsiasi cosa succeda: se c’è qualcuno che non smette di dire il tuo nome con amore” (D’Avenia) . Il tuo nome Maia è puro amore.
Mentre camminavamo per il centro, ho mostrato alla mia nuova amica – ti piacerebbe, così grintosa e allegra, vede solo ombre e desidera tanto andare in tandem – la luna piena, grandissima, luminosissima – come facevo con te. Lei ha alzato lo sguardo e l’ha vista, in mezzo ai palazzi, enorme, luminosissima, e ha sorriso, felice. Come facevi tu quando ti mostravo un fiore, un animaletto, una finestra di foggia strana, qualcosa di bello che ci emozionava insieme
Come ogni anno da quando sta con noi, tranne l’anno scorso quando avevamo guai peggiori e almeno questo ci è stato risparmiato, Miele si è di nuovo ferito con un forasacco e abbiamo penato come al solito per un pezzo perché non si leccasse, usando persino la museruola, dal momento che lui ha imparato a inserire la zampa posteriore direttamente dentro al collare Elisabetta misura maxi e inoltre lo ha danneggiato e rischia di ferirsi, per non parlare dei lividi che ho io sulle gambe dato che va sempre a sbattere dappertutto… Ma questa volta, né anestesia né operazione, con una semplice pinzetta, dopo una settimana di antibiotico, Silvia Revelant, la nostra dolce veterinaria, ha estratto la spiga e voilà, Miele è guarito… fino alla prossima volta!!!
Benedetta mi ha raccontato che Vittoria, la gemellina di Achille, ha sistemato il tuo braccialetto di Maia’s Light in mezzo ai due braccialettini del loro battesimo, di Vitto e di Achi. Loro sono sicure che tu ti stia prendendo cura del loro bellissimo bimbo, non le deludere Maia, ti ricordi che desideravi tanto una sorellina o almeno, dicevi, un fratellino? Achille è un po’ scalmanato è vero, mi ricordo come scuotevi il capo quando faceva i capricci, a Milano – e tu non lo sapevi ma aveva mille volte ragione – ma se gli racconti una delle tue storie sono certa che si mette buono vicino a te ad ascoltarti. Insieme venite a trovarci, voi Elfi curiosi, tra il lago, i boschi, le Torri e i nostri Parchi.